Sportiello, ecco perché (al momento) è il miglior acquisto dell’estate: parate, personalità, rapporto qualità/prezzo

“Al momento, Sportiello è il miglior acquisto della campagna estiva. Di gran lunga…”.

Questo breve commento del Bollettino sull’account Twitter, alla fine della partita vinta contro il Verona, ha scatenato grande dibattito. In larga maggioranza i commenti raccolti sono stati positivi. Così come numerosi sino stati gli apprezzamenti tramite “like”.

Ma ci sono state anche critiche, battute ironiche, qualche insulto, inviti a posare il fiasco o a guardare meglio le partite. Visto l’interesse suscitato (dimostrato dal fatto che il commento era in cima alle tendenze relative a #MilanVerona), il Bollettino vuole spiegare nel dettaglio la sua posizione.

MIGLIORE SIGNIFICA “PRIMO TRA I BUONI”

Prima di affrontare la parte tecnica, manageriale e sportiva, ci vuole una introduzione “letteraria”. Meglio ancora, grammaticale: “migliore” è un comparativo.  Significa solo che (“al momento”) il portiere ex Atalanta si è distinto più degli altri nelle prime cinque partite ufficiali.  

E non vuole assolutamente dire che i dirigenti Milan non ne abbiano fatto una campagna acquisti di qualità (e ci mancava, potendo utilizzare i 70 milioni della cessione di Sandro Tonali). La rosa si è rafforzata e la panchina si è allungata. I “prospetti” arrivati sono tutti interessanti e lo dimostra il fatto che il Milan dopo quattro giornate si è insediato in seconda posizione. Al Bollettino, giusto per fare un primo esempio, piace moltissimo Tijjani Reijnders.

ENTRATO A FREDDO, SUBITO PROTAGONISTA

Allora perché Sportiello dovrebbe essere il “miglior acquisto”. Fondamentalmente, per due motivi. Il primo riguarda la prestazione. E’ vero che finora ha giocato solo una partita di campionato, più uno scampolo dalla sfida con il Newcastle. Ma in Champions ha salvato il risultato con una parata che in condizioni normali non sarebbe stata complicata. E non era poi così facile, dopo essere entrato a freddo, in un momento molto delicato dell’incontro. Immaginiamoci cosa sarebbe accaduto se il Milan fosse uscito sconfitta dalla squadra inglese, dopo la batosta del derby.

Contro il Verona è stato protagonista assieme a Leao. Il portoghese ha segnato (il suo terzo gol consecutivo), Sportiello ha messo in cassaforte il risultato con una super parata e altri 2-3 interventi di livello, sicuro nelle uscite, apprezzabile nell’impostazione con i piedi.

OTTIMO RAPPORTO QUALITA’/PREZZO

Ma è proprio quello che deve fare un portiere: dare sicurezza alla squadra, prendere tutto quello che un portiere di livello deve prendere, saper guardare il gioco e comandare la difesa. Caratteristiche che Ciprian Tatarasanu (che mai smetteremo di ringraziare per il rigore parato a Lautaro nel derby d’andata nell’anno dello scudetto) non ha dimostrato di avere.

In pratica, con Sportiello il Milan ha trovato molto più di un secondo portiere. E Pioli sa che per quanto sia di classe superiore, Mike Maignan può recuperare dal suo infortunio senza forzare. E tutto questo con un ottimo rapporto qualità/prezzo, visto che Sportiello è arrivato da svincolato. Mentre tutti gli altri acquisti estivi del Milan sono costati tra 15 e 20 milioni.

CENTROCAMPO FORTE, MA PIOLI CONFUSO

Poi c’è l’aspetto tecnico/sportivo. Per la peculiarità del suo ruolo, per Sportiello è più facile imporsi. Come detto, deve parare, dare sicurezza e giocare con i piedi in sicurezza. Per tutti gli altri, la prestazione dipende anche da come il mister dispone la squadra, dai cambi, dal gioco corale, dal confronto talvolta molto fisico con gli avversari.

Ma dopo la batosta nel derby, Stefano Pioli non sembra avere le idee del tutto chiare. Ha cambiato già tre volte il modulo, il tipo di difesa, gli esterni. E dovrà farlo una quarta volta, a causa dell’infortunio di Rade Krunic. Difficile trovare continuità. E’ il caso di Christian Pulisic, partito fortissimo nelle prime due partite, poi si è un po’ perso. Reijnders deve trovare la posizione, perché non è un incursore. Ruben Loftus-Cheeck alterna giocate prorompenti a momenti meno convincenti.

E sono sicuramente i tre giocatori di maggiore qualità. La gara con il Verona ha mostrato anche le qualità di Yanus Musah, motorino instancabile vero jolly della mediana. Ma non ancora determinante. Mentre Samuel Chukwaeze ha potenzialità, ma non è ancora convincente.

Se questo è il quadro, è ovvio che (“al momento”) Sportiello è stato il più convincente. Il “miglior acquisto” che si poteva fare.

Milan, ecco come è andato il colloquio tra Ibra e Pioli a Milanello?

Prima precisazione da parte del Milan: la visita di Zlatan Ibrahimovic a Milanello era già prevista, ma doveva avvenire prima del Derby. Seconda precisazione: al momento, non è previsto nessun ruolo di Ibra nel club rossonero. In sostanza, si trattato solo di una visita di cortesia.

Ma è proprio così? Non è stato invece un riavvicinamento del campione rossonero, lui che è stato uno dei fattori determinanti per la vittoria dello scudetto con il quale il Milan ha pareggiato le vittorie dei cugini in campionato solo pochi mesi fa? E non è stato un errore di comunicazione e di immagine riprendere Ibra con Pioli, visto che le immagini tv e le foto hanno fatto il giro del calcio che conta, alla vigilia del primo turno di Champions, il torneo più seguito al mondo?

MA PIOLI E’ STATO COMMISSARIATO?

Diamo per buono che la visita di Ibra a Milanello non sia stata improvvisato all’indomani della “manita” nel Derby più triste della storia dei rossoneri. Si tratta della debacle che pareggia definitivamente i conti con il 6 a 0 del 2001. Con una differenza: per paradosso, in quella occasione l’Inter combattè palla su palla, continuò ad attaccare con grinta. Il Milan, invece, ha apposto una resistenza da carta velina.

Dato per buono che Ibra doveva incontrare gli ex compagni prima de derby, perché confermare un appuntamento rimandato, all’indomani della disfatta maturata a San Siro? Non è venuto in mente a nessuno che la visita sarebbe stata letta come un “commissariamento” di Pioli, incapace di mettere “una volta una” in difficoltà il collega Inzaghi nelle ultime cinque edizioni del derby? Ma a volte le cose accadono e diventa poi difficile fermarle….

UN ALLENATORE IN STATO CONFUSIONALE

Quelle immagini del dialogo tra Ibra, sereno e distaccato, e un Pioli con addosso ancora i segni della sconfitta per ko (e non certo ai punti) giocano in tutto e per tutto in favore dello svedese. Come se fosse stato chiamato al capezzale di un allenatore ancora in stato confusionale (“abbiamo dominato i primi sette minuti”).

Fin qui le cose tutto sommato credibili e certe. Con qualche buon consiglio da bravo fratello maggiore. Poi possiamo immaginarci il dialogo. Con il suo carisma e la sua esperienza, Ibra può anche aver spiegato a Pioli che va bene crederci sempre, ma che talvolta si può anche giocare con umiltà. E che talvolta va bene anche uno zero a zero, lasciando alla chiacchiere da bar decidere chi ha vinto ai punti.

INZAGHI HA IMPARATO DALLA SUA PRESUNZIONE

Anche il Milan ha approfittato della superbia di Inzaghi, quando due anni fa – convinto di aver vinto – ha cambiato mezza squadra, consentendo la doppia rimonta con i gol di Giroud. Per poi andare davanti alle telecamere sostenendo di aver “dominato per 70 minuti”. Ma la bellezza del “giuoco” del calcio e la sua popolarità, rispetto ad altri sport, è la possibilità di vincere all’ultimo minuto nell’unico tiro in porta. Figuriamoci non capirci nulla per venti minuti. O per ottantatre. Chi se lo scorda, la paga pesantemente.

IL DONO DEGLI DEI DEL CALCIO

Negli ultimi cinque derby, Pioli pare non aver riflettuto su questa lezione e sul dono ricevuto dagli Dei del calcio, che hanno punito la superbia del mister piacentino, sfilandogli uno scudetto quasi vinto prima di Bologna. Inzaghi, invece, da quella volta ha imparato la lezione e archiviato il derby dello straripante Leao ha giocato solo per bloccare il campione portoghese e bloccare la squadra nella sua metacampo per puntare tutto sul punto in assoluto più debole del Milan: il campo sempre lasciato aperto davanti a Mike Maignan.

Ecco, Ibra può aver spiegato tutto questo a Pioli. Che perlomeno nella conferenza stampa prima della partita con il Newcastle (dove il destino gli mette di fronte Sandro Tonali uno dei protagonisti prediletti e non dimenticati dello scudetto), ha fatto ammenda. Se dopo il derby ha dichiarato stizzito che non doveva chiedere scusa a nessuno, prima del Newcastle ha ammesso che deve tutto ai tifosi.

PIOLI SI SALVA CON LA SECONDA STELLA

Purtroppo per lui, al di là che siano o vere o meno le indiscrezioni sul fatto che Gerry Cardinale lo avrebbe fatto saltare dopo la batosta del derby, Pioli ha solo una possibilità per salvare la panchina: vincere la seconda stella. Ma al Bollettino, al momento, potrebbe bastare una vittoria con il Newcastle

Milan, chi ha sbagliato con Pioli: Maldini che ha rinnovato o Furlani che ha confermato?

Il Bollettino vuole dirlo senza tanti giri di parole: per guadagnarsi la conferma dopo il disastro del quinto derby consecutivo perso senza mai essere in partita, Stefano Pioli non ha che due possibilità. La prima è la migliore: vincere la seconda stella. La seconda più complessa e comunque potrebbe non bastare a salvare la sua panchina: arrivare più lontano dell’Inter in Champions, e non vedere Inzaghi e compagni vincere il campionato.

Non ci sono altre possibilità per l’allenatore di Parma. Per sua fortuna, la “manita” nel derby è arrivata solo alla quarta giornata. Di Fatto, Pioli ha tempo e possibilità per rifarsi. In campionato, sulla carta, può arrivare fino alla fine, come si è visto nelle prime tre giornate: ha gli uomini per fare la differenza e deve guardarsi solo da Allegri e Mourinho (nel caso in cui abbia a disposizione Lukaku e Dybala). Oltre che da Inzaghi, che lo frega sempre allo stesso modo: l’hanno capito tutti, tranne lui, che dovrebbe stare coperto e vincere come ha fatto con Spalletti due volte: pullman e palla a Leao e Giroud.

In Champions si gioca a campo aperto e il girone sulla carta complicato potrebbe esaltare il gioco verticale di Pioli e un solista con il campione portoghese. Oltre alle frecce di cui dispone sulle fasce, da Theo a Okafor, da Chukawueze a Pulisic. Del resto, Newcastle e Borussia sono montagne scalabili e il Psg le ha prese anche dal Nizza. Certo, a patto di essere accorti e non lasciare una metà campo intera agli avversari.

Tutto questo sulla carta. Purtroppo, ci sono partite che lasciano il segno e diventano emblematiche. Al limite, della mitologia. Il 5-1 appena subito equivale al 6 a 0 subito dagli interisti ventidue anni fa. Lo pareggia e lo supera con la forza dell’attualità. Come se non bastasse, è arrivato dopo quattro sconfitte consecutive, tutte in fotocopia: per la superiorità tattica, caratteriale e sportiva dei nerazzurri.

Per questo, solo con la conquista della seconda stella Pioli potrebbe riscattarsi e tornare “Pioli on fire”, perché al momento è soltanto “Pioli fired”. E data la solidità dell’Inter, appare veramente complicato, al limite del miracoloso, che Pioli possa essere riconfermato.

Alla fine di questo lungo ragionamento si può arrivare alla domanda delle domande: ma chi ha sbagliato a tenere Pioli ancora, Paolo Maldini che ha convinto i dirigenti del Milan e prolungargli il contratto in scadenza nel 2023 al 2025, o Giorgio Furlani che non ha voluto ascoltare chi gli suggeriva di trovare un altro allenatore dopo il “fallimentare” campionato scorso, concluso con una umiliante doppia sconfitta nella semifinale di Champions e un quinto posto?

Per il Bollettino non ci sono dubbi? Per quanto Maldini abbia anche lui peccato, non ci sono dubbi che il giovane manager già alle dipendenze di Elliott sia maggiormente responsabile. E non solo perché l’ultimo che commette l’errore, in ordine di tempo, ha più colpe.

Paolo Maldini ha sicuramente le sue responsabilità. Perché non era convinto. E perché, in cuor suo, sapeva che il finale del campionato 2022 era frutto di una congiunzione astrale: l’Inter che si suicida nel derby di ritorno e a Bologna, la presenza di Ibra nello spogliatoio, un Leao stratosferico. Il portoghese procura il pareggio a Roma con la Lazio, decide la sfida con la Fiorentina e con l’Atalanta, manda in porta Giroud e Kessie con il Sassuolo.

Del resto, fonti autorevoli consultate dal Bollettino, assicurano che nel caso in cui il fondo Investcorp avesse convinto Elliott a vendere Pioli sarebbe stato sostituito (con tutta probabilità da Antonio Conte) e Maldini sarebbe stato plenipotenziario. Più difficile dimostrare che Pioli – cosa comprensibile dal suo punto di vista – non abbia gradito e abbia “snobbato” i nuovi arrivi della scorsa campagna acquisti, non mettendoli in condizione di rendere al meglio, da De Kaetelaere a Vranckx. E anche lo stesso Thaw, ora titolare inamovibile, non si era mai visto finché non si è infortunato Simon Kjear.

Maldini lo ha comunque rinnovato (con il placet della società). Ma anche la nuova dirigenza, una volta licenziato il capitano delle cinque Champions, avrebbe avuto la possibilità di scegliere un nuovo allenatore tra gli emergenti. Magari il bravissimo Roberto De Zerbi ormai costa troppo, ma non mancano emergenti su cui sommettere, se si vuole un gioco spettacolare.

Di più: gli è stata data carta bianca nello scegliere giocatori adatti al gioco che Pioli ha in mente, verticale e di gamba europeo. Anche a costo di sacrificare “la bandiere delle bandiere” quel Sandro Tonali che si era ridotto l’ingaggio pur di rimanere nella squadra per cui tifa da bambino e di cui avrebbe potuto diventare una colonna e capitano per un decennio.

Fa strano affermarlo e scriverlo, ma il derby arrivata alla quarta giornata mette tutta la stagione su un solo binario: o Pioli vince la seconda stella o sa già che il suo Destino è segnato.

Siccome il Bollettino ha il biglietto per assistere all’esordio del Milan in Champions non vuole nemmeno pensare che tutto precipiti prima. E sarebbe immensamente felice di festeggiare la seconda stella in giro per Milano. Ma vie di mezzo non ce ne saranno.

Milan: per tornare grande, Cardinale deve “spendere” e non seguire Elliott

Assenze e decisioni cervellottiche di un arbitro possono essere essere una spiegazione per le due partite disputate in una settimana contro il Chelsea. Ma non una giustificazione: con cinque gol al passivo e nessuna rete segnata, il Milan ha dimostrato di non essere ancora all’altezza dei club europei più importanti. A Londra ha sbagliato completamente partita, a Milano ha giocato alla pari per un quarto d’ora, ma alla prima occasione i Blues hanno colpito. E fa specie che a sbagliare sia uno dei protagonisti dello scorso campionato e della volata scudetto: perché è vero che il rigore è un assurdità – e il rosso la sua (il)logica conseguenza – ma Fikayo Tomori i si fa aggirare da Mount, così come si era perso Aubameyang all’andata.

Tomori è proprio il perfetto esempio di un Milan protagonista in Serie A (terzo nonostante le assenze, sconfitto immeritatamente solo dal Napoli) e con il tricolore sulla maglia, mentre in Europa colleziona ancora una volta due sconfitte su due contro squadre di Premier. Tomori fa la differenza in Italia, come si è visto nella netta vittoria contro la Juventus, ma non in Europa: bene quando deve difendere in campo aperto, negli uno contro uno, ma non contro una squadra che manovra e che cerca di passare con l’aggiramento dell’avversario. Da quel punto di vista molto più ordinato Matteo Gabbia, superiore Pierre Kalulu. Può essere che l’inglese stia pensando forse troppo a mettersi in mostra per i Mondiali: l’aver passato in panchina le ultime partite in Nazionale potrebbe averlo condizionato.

La qualificazione è ancora ampiamente alla sua portata, ma il Milan sarà costretto ad affrontare il sorteggio da seconda e la sua corsa potrebbe seriamente finire ai sedicesimi: un passo avanti rispetto all’anno scorso, ma una delusione per come si erano messe le cose dopo le prime due giornate.

Ad ogni modo, anche se non sappiamo come sarebbe finita la partita in undici contro undici, la sensazione rimane: il MIlan dei “giovani” sta sicuramente accumulando esperienze importanti ma la rincorsa al gruppo delle migliori in Europa è ancora lunga. Del resto, se ci pensate, rispetto all’anno scorso, i rossoneri tra i titolari hanno una sola pedina in più, Charles De Ketelaere: un ragazzo di 21 anni che va aspettato e fatto crescere, in arrivo dal campionato belga. Che al Bruges spaziava su tutto l’arco dell’attacco e qui si ritrova nei meccanismo precisi di Pioli, al servizio della squadra, di Rafael Leao e di Olivier Giroud.

E questo ci porta all’inizio: se Gerry Cardinale, come ha detto, vuole risvegliare il gigante MIlan e lo vuole fare in tempi rapidi, deve mettere da parte la politica dei piccoli passi e dei grandi risparmi di Elliott. Perché il fondo americano dei Singer ha rimesso i conti in ordine e ha vinto uno scudetto, ma non ha creato un club al passo con i migliori in Europa.

Del resto, la squadra per ora ha tre campioni (Mike Maignan, Theo Hernandez e Rafa Leao) e mezzo (Sandro Tonali). Poi ha due giovane molto promettenti (Kalulu e Cdk), una paio di buoni giocatori (da Ismail Bennacer ad Ante Rebic) e campioni sul viale del tramonto (Zlatan Ibrahimovic e Olivier Giroud).

Per la Champions, dove sono i dettagli che indirizzano le partite e viene punito a ogni errore, non è sufficiente. Basta e avanza per la Serie A, ma la politica dei giovani presi quando il loro ingaggio è ancora basso richiede tempo e la fortuna di incocciare in giocatori come Tonali che sanno maturare in una sola stagione.

L’alternativa è investire sulla qualità di chi ha già dimostrato le sue potenzialità. Ma per farlo occorre spendere. Tra l’altro il Milan ha tutto per fare spettacolo e attirare sponsor: il pubblico, le grandi vittorie, i tanti tifosi in giro per il mondo, una tradizione di formazioni che hanno fatto la Storia di questo sport, da Rocco a Sacchi e Ancelotti, passando per Liedholm e Capello, ma anche con il trio Zaccheroni, Allegri e Pioli.

Cardinale decida cosa vuole fare e lo scelga presto: per il passo successivo serve, per esempio, un centravanti che trascini la squadra a suon di gol (emblematico il gol di testa sbagliato da Giroud, che pure rimarrà per sempre l’eroe del derby), un altro esterno dal passo e fisico europeo, un grande difensore che guidi la difesa e i giovani che già ci sono. Tutto questo costa. Se, invece, anche per Cardinale vale il precetto di Elliott per cui si cresce solo quando saranno aumenteranno adeguatamente i ricavi, si sappia che in Champions ci sarà da soffrire per molti anni ancora. Anche solo per arrivare afli ottavi.

Milan-Juventus: ecco le tre mosse con cui Pioli ha “azzerato” Allegri

Stefano Pioli è un allenatore – e probabilmente anche una persona – che deve sbattere la testa contro un muro quando prima retrocedere dalla sue convinzioni sbaggliate. Ma dopo che si fa male, ha l’umiltà di guardarsi allo specchio e ammettere di aver sbagliato tutto o quasi. A questo punto ha il coraggio di cambiare strada.

Stefano Pioli l’ha fatto, ancora una volta, dopo Chelsea-Milan. Ha puntato sugli stessi uomini che avevano battuto in modo rocambolesco l’Empoli. Pensando di poter imporre il proprio gioco contro una squadra più fisica, agonisticamente superiore (come lo sono tutte quelle che giocano in Premier) e contro una rosa più completa.

Non lo ha fatto contro la Juventus, dopo aver imparato la lezione dello Stamford Bridge. Tre sberloni o ti mettono ko a lungo o ti danno la sveglia. Pioli, contro i bianconeri, ben sapendo che si sarebbero schierati molto compatti in attesa di colpire alle spalle di un Milan che solitamente gioca con tanti effettivi (anche 5 o 6 oltre la linea della palla), ha cambiato le sue pedine. E in tre mosse ha dato scacco matto a Max Allegri.

Non volendo snaturare il gioco di una squadra che lo ha premiato con uno scudetto ha mischiato le carte. La prima mossa: di fatto, si è inventato un 3421 che diventatava 433 in chiave difensiva. Non avendo Theo Hernandez al 100 per cento, Pioli lo ha messo in linea con gli altri di reparto in fase difensiva, ma sul ribaltamento dell’azione, non potendo forzare più di tanto a lanciarsi nelle sue galoppate, è diventato mediano costruttore di gioco assieme a Ismail Bennacer.

La seconda mossa è l’inserimento di Tommaso Pobega non come laterale, ma come centrocampista di contenimento in posizione più avanzata rispetto all’incontrista, nonché uomo ovunque, Sandro Tonali. In pratica, in mezzo al campo c’era una mini linea di difesa e una di costruzione.

Un centrocampo più dinamico e robusto rispetto a Londra che ha così permesso un peso piuma come Brahim Diaz, spostato sulla destra. La sua velocità ha spesso creato la superiorità e pericoli da cui dovevano guardarsi i difensori juventini che non potevano più di tanto raddoppiare su Rafael Leao.

Di fatto è tornato alle ultima partite dell’anno scorso, quando nella posizione di Pobega hanno giocato a turno Rade Krunic, ma soprattutto Frankie Kessie. Senza falsa modestia e senza avere le competenze specifiche di Pioli, anche il Bollettino solo pochi giorni fa aveva avanzato lipotesi di un centrocampista più fisico a sostegno della coppia Bennacer-Tonali. Pioli ne ha messi addirittura due.

Il Milan ha patito i primi 20 minuti della Juventus (che comunque parte sempre forte), ha dovuto assestarsi sul nuovo schema, ha concesso un paio di occasioni. Ma non ha appena ha rodato i meccanismi (e la Juve ha rallentato anche mentalmente come gli capita sovente in questo campionato), non c’è stata più partita. Se non in una occasione nel finale con Kean, dove Pierre Kalulu ha compiuto un miracolo in recupero.

Il Milan invece ha creato occasioni a raffica (due gol, due pali, due volte a tu per tu con il portiere). In 20 minuti, il MIlan si è scrollato di dosso le paure accumulate a Stamford Bridge e forte del nuovo assetto ha ripreso fiducia e ha trovato la determinazione che probabilmente aveva perso sorvolando la Manica.

Anche per merito della terza mossa di Pioli. Ha scelto di “coprirsi”, inserendo Matteo Gabbia accanto a Fikayo Tomori e spostando Kalulu slla fascia destra. Rinunciando a Sergino Dest: non tanto perché l’americano aveva deluso contro il Chelsea (lo avevano fatto tutti), ma perché più portato a un gioco offensivo. Invece, Kalulu si è preso cura di un avversario pericoloso come Kostic e grazie alla sua velocità ha potuto coprire più campo e proteggere al meglio le giocate d’attacco di Diaz. Tra l’altro Gabbia, pur meno forte della coppia di centrali titolari, ha la fisicità per opporsi a Vlahovic e ha sempre un rendimento soddisfacente, come ha dimostrato anche l’anno scorso.

In pratica, Pioli ha azzeccato tutte le mosse. E sarà interessante capire se le riproporrà con il Chelsea. Di sicuro, il Milan dei giovani (ma non più tanto giovani) come ha fatto anche la stagione scorsa, di fronte a uno snodo complicato ha saputo scioglierlo e trasformare a proprio vantaggio una situazione pericolosa: una nuova battuta d’arresto a tre giorni dal ritorno con i Blues li avrebbe messi in una condizione psicologica sfavorevole. Ora, invece, potranno cercare la rivincita trascinati da un pubblico che ancora una volta ha fatto sentire la sua voce. Quando Diaz ha superato in tromba Bonucci e di slancio Milik e scaravantato in porta, San Siro ha tremato nella fondamenta.

Milan, Pioli cambi: Pobega per dare peso al centrocampo e CdK più vicino alle punte

Come molto allenatori, Stefano Pioli tende a fidarsi del gruppo che ha costruito e quando può non si discosta mai dall’11 che ritiene sia il “titolare”. Soprattutto se è quello che lo ha portato a vincere un titolo importante. Le variazione, semmai, in corso d’opera, a seconda della direzione che prende la partita.

Ma Pioli ha una seconda convinzione: il Milan deve scendere in campo per fare il suo gioco. Fatto di aggressione alta, con gioco immediatamente verticale non appena riconquistata palla, portato il più velocemente possibile nell’area avversaria con molto uomini, anche 6 o 7 tutti nella metà campo dell’altra squadra.

Tutto ciò comporta una serie di riflessioni alla luce della partita giocata in Champions, a Londra, contro il Chelsea. Sconfitta “brutale” nel punteggio e nel modo in cui si è concretizzata: una lezione di calcio aggressivo, di qualità, veloce. E in cui i Blues l’hanno vinta a partire da una condizione mentale superiore. Oltre che fisica: ma il Chelsea va a quella velocità anche in Premier, ogni turno, mentre in Serie A sono poche le partite che il Milan affronta a quei ritmi.

Ma torniamo alle idee di Pioli. Purtroppo, il Milan non è ancora pronto per giocare ovunque cercando di imporre il suo gioco. Riesce a farlo in Serie A – va detto anche con le più forti quasi sempre – ma non lo può fare ancora in Champions. Non con le più forti: e il Chelsea (che ha vinto la coppa solo due stagioni fa lo è).

Per cui Pioli dovrebbe proteggere in qualche caso la squadra. Si spera – come ha scritto più di un commentatore che quella a Stamford Bridge sia una sconfitta che “insegna” molto. Ma un conto è subire e perdere perché la squadra era priva di almeno tre pedine fondamentali come Mike Maignan per la sicurezza, Theo Hernandez per la forza e Davide Calabria per il carattere. Un altro conto è voler imporre il proprio gioco con quattro titolari in meno,sette infortunati complessivi e tre ragazzini della Primavera aggregata.

Anche perché, sabato prossimo la Juventus giocherà allo stesso modo del primo tempo del Chelsea: linee compatte, almeno 5-6 marcature a uomo, attesa dietro la linea della palla, ripartenze velocissime. Oramai tutti gli allenatori che affrontano il Milan sanno che i rossoneri attaccano con più uomini, lasciando molto campo dietro la linea dei centrocampisti. E sanno che Rafael Leao va raddoppiato sempre, anche finendo in inferiorità sul fonte opposto, perché al momento il Milan non ha un esterno capace di essere molto pericoloso a destra.

Il Milan, nonostante il recupero di Hernandez, dovrà giocare ben altra partita per intensità e ritmo e vincere almeno la metà dei duelli sulle secondo palle. A Londra le ha lasciate praticamente tutte agli avversari e i risultati si sono visti: con lo scorrere dei minuti, il Chlesea ha preso campo e con la qualità dei suoi giocatori e l’aggressività (in parte consentita dall’arbitro che ha ammonito meno di quanto avrebbe dovuto gli inglesi, a volte non applicando lo stesso metro) ha rifilato una lezione di calcio.

Detto tutto questo, il Bollettino – in tutta modestia – avanza un paio di variazioni tattiche che potrebbero essere utili anche per quando torneranno tutti i titolari. Il Milan prende più gol dell’anno scorso perché la difesa è meno protetta, nonostante Ismail Bennacer e soprattutto Sandro Tonali facciano il loro e non ci sono stati gol per loro colpe. Ma quelo che manca è il strapotere fisico di Frankie Kessie: il quale non è stato sostituito se non con il giovane Aster Vrancx.

Ma Pioli ci ha abituato a inserire i giovani passo dopo passo, per non bruciarli. Facendo fare a loro minutaggio a partita in corso. Ma, come detto, il Milan così è meno “fisico” a centrocampo, in un calcio dove invece i giocatori sono sempre più “statuari”. Allora, il Bollettino suggerisce l’idea di giocare con un centrocampo a tre, inserendo Tommaso Pobega che ha già dimostrato proprio in Champions di potere dir la sua e dare il suo apporto. Oltre a essersi guadagnato la chiamata in Nazionale. Magari non sempre a tre, ma nelle partite in cui proteggersi non deve essere considerato disdicevole.

Questo potrebbe portara a una seconda mossa: avvicinare di più Charles De Ketelaere a ridosso delle due punte, Rafael Leao e Olivier Giroud. Al momento non può giocare come era solito nel Bruges e avrebbe bisogno di essere più nel vivo, per costringerlo anche a prendersi responsabilità, ma senza essere troppo ingabbiato anche nella fase difensiva.

Il Milan, dovendo Leao sempre uscire dal raddoppio ha bisogno di avere qualcuno con cui dialogare e il belga di poter usufuire sia degli assit del portoghese e delle sponde di Giroud. Certo, la prossima volta che un pallone in area dal disco di rigore senza difensori davanti è meglio se spacca la porta piuttosto che piazzarla di piatto.

Milan-Chelsea, ecco perché Bennacer sarà capitano: “leader tecnico”, tra i migliori della Serie A

Il lungo elenco degli infortuni del Milan cambia anche la gerarchia in campo: nella sfida contro il Chelsea a Stanford Bridge, Ismail Bennacer indosserà per la prima volta la fascia di capitano. Per il Bollettino è un riconoscimento più che meritato, per uno dei cinque migliori centrocampisti del campionato. Ma quello che conta è la scelta di Stefano Pioli: qui cerchiano di capire e in parte indovinare perché il mister di Parma abbia scelto proprio lui. E perché se lo merita.

  1. Da qualche anno il Milan – quando non fa una scelta precisa – premia il giocatore con più anzianità degli undici in distinta. In questo casi si tratta della mediana di centrocampo, con l’algerino a foanco di Sandro Tonali. Ma Bennacer ha più presenze, perché il primo anno Tonali ha giocato meno, per il Covid e per un non facile ambientamento.
  2. Il capitano può essere il giocatore più rappresentativo (è stato il caso di Gigio Donnarumma), oppure il più carismatico (Simon Kjear) oppure un leader. Magari non per le cose che dice, ma per il suo comportamento. A detta dei giocatori lo è già Mike Maignan, come ha raccontato Tommaso Pobega. Per Pioli “ci sono diversi tipi di leader, Isma è un leader tecnico ed è un leader per l’esempio che ha: si allena e partecipa al 100% ogni giorno”.
  3. Da inizio campionato Bennacer non ha mai marcato visita: sempre titolare, sempre protagonista. Così come nelle due sfide di Champions. Per il nazionale algerino non è stata una estate facile: i dirigenti del Milan assieme a Pioli hanno dovuto convincerlo a restare. L’algerino voleva giocare con continuità dopo aver passato una stagione in cui è partito spesso dalla panchina. Pioli prima non lo vedeva come ultimo davanti alla difesa, non avendo il fisico di Frankie Kessie o la “prepotenza” di Tonali. Per lui il Milan ha cambiato anche modo di giocare: tutti si sacrificano, compreso Charles De Ketelaere, e Bennacer può interpretare il ruolo tipico del “volante”: registra arretrato, cucitore di gioco, ma anche incontrista. E’ lui il punto di riferimento dei compagni, motorino perpetuo, colui al quale mollare le palle scomode.
  4. Infine, Bennacer è uno dei migliori centrocampisti della Serie A. E fare il capitano in uno degli stadi più “iconici” d’Europa se lo merita.

Infortunati Milan, ecco perché così tanti giocatori finiscono in infermeria

Già due stagioni fa il MIlan rischiò di non qualificarsi per la Champions a causa di tanti giocatori non utlizzabili: a un certo punto era la squadra al terzo posto per numero di infortuni.

L’anno scorso, solo a fine marzo Stefano Pioli ebbe di nuovo tutti i suoi giocatori a disposizione, con l’eccezione di Simon Kjear e Zlatan Ibrahimovic che poteva giocare non più di 15 minuti a fine partita. Giusto in tempo per la volata finale, terminata con la conquista dello scudetto

Il ripetersi degli infortuni a cui sono soggetti i giocatori del Milan è ormai è diventato un must nelle battute ironiche dei tifosi e degli sfottò degli avversari. “Non c’è Serie A senza che un giocatore del Milan ogni partita”, è un classico del genere.

Il che non è proprio una esagerazione, visto quanto accaduto a Empoli. Pioli non ha fatto in tempo a recuperare Ante Rebic e Rade Krunic, che se ne sono bloccati addirittura tre in una volta sola: di lieve entità l’infortunio di Simon Kjear, più gravi gli stop per Davide Calabria e Alexis Saelaemekers, che rivedremo in campo con l’anno nuovo. A cui vanno ad aggiungersi Ibra, Divock Origi, Junior Messias e Like Maignan

E pensare che il Milan, un anno fa, aveva ingaggiato un supervisore delle prestazioni. E’ una figura che nel calcio anglosassone esiste già da tempo: avrà il compito di gestire i sempre più numerosi dati raccolti su partite, allenamenti e guai fisici dei calciatori. in qualche modo dovrà svolgere, raccogliendo i dati di tutte le partite, una funzione il più possibile “predittiva”. Come ha scritto il Bollettino a suo tempo dovrà arrivare a fermare i giocatori prima che un infortunio si verifichi o si complichi, limitando le giornare lontane dalle competizioni.

Non sembra aver funzionato molto, si potrebbe dire. Perché, allora i giocatori del Milan si infortunano così spesso? In questi ultimi caso hanno sicuramente influito una serie di circostanza: le partite ravvicinate in una stagione che per la prima volta vedrà i Mondiali organizzati in inverno, visto che a organizzarli è il Qatar. Basta pensare che – nelle condizioni in cui si ritrova – il Milan e le altre squadre impegnate nelle competizioni europee avranno 11 partite da qui alla sosta lunga di novembre. Si gioca troppo, lo si ripete spesso, il calendario è troppo intasato ma le varie federazioni continuano a inventarsi partite e tornei.

La pausa delle Nazionali, poi, è sempre foriera di incidenti, piccoli o grandi che siano. Ne sono rimaste vittime anche altre squadre, perché giocare in Nazionale significa allenarsi poco – tra viaggi e spostamenti – e accumulare stanchezza anche mentale.

Infine, nel caso del MIlan possono aver influito le condizioni del terreno di gioco a Empoli: anche in televisione si è visto che il campo non era certo quel tappeto da biliardo che ci si aspetterebbe da uno stadio di Serie A.

Ma anche questa volta ci tocca ribadire che una delle cause potrebbe essere indicata nel modo di giocare del Milan; gioco d’attacco con 5-6 giocatori, pressing alto, grandi fiammate del gioco verticale, con grandi corse a ritroso non appena si perde palla. In sostanza, un gran numero di scatti, da cui l’alto numero di infortuni muscolari. Anche per questo si era scelto di puntare su un supervisore delle prestazioni, nel tentativo di limitare il più possibile i danni.

Allo stesso modo, il Milan ha scelto di avere una panchina lunga, nonché il più possibile di qualità. Per avere più giocatori nelle rotazioni ma anche per mantenere alto il livello del gioco. Purtroppo in Champions non si può cambiare la lista dei 25: sembrano tanti, ma tutte le idee saltono quando – come è appena accaduto – sulla catena di destra mancano tre giocatori su quattro contemporaneamente. Per fortuna, il Milan e Pioli hanno scelto di dare importanza al gioco organizzato e di gruppo, più che sull’estro dei singoli (con l’eccezione di Rafael Leao) dove anche un talento come Charles De Ketelaere deve fare la sua parte. E questo permette ovviamente di ooviare agli inforuni: la trasferta di Londra contro il Chelsea sarà l’ennesima prova.

Milan, ecco perché De Ketelaere è uno dei migliori (e gioca come vuole Pioli)

Non è ancora contestazione aperta, perché è arrivato celebrato da tutta la critica, perché è stato scelto da Paolo Maldini – che si è impegnato in una estenuante trattativa estiva – e perché è stato l’acquisto più costoso della gestione Elliott (35 milioni). Ma tra i tifosi milanisti, dopo otto giornate di campionato e due di Champions – c’è sconcerto. Si va dal malcelato malcontento alla delusione in campo aperto: Charles De Ketelaere non solo non ha ancora segnato, ma non sembra il fuoriclasse che è stato dipinto e non sembra aver preso la squadra sulle sue spalle come imporrebbero il suo ruolo e le sue qualità.

Come Bollettino ci sentiamo di dissentire. Il giovane belga (stiamo pur sempre parlando di un ragazzo di 21 anni) si sta inserendo molto bene nella squadra, è perfettamente entrato nei suoi meccaninismi, macina chilometri e a ogni partita mette sempre almeno una volta i compagni davanti alla porta per un gol a botta sicura.

Lo si è visto anche contro l’Empoli, con il passaggio che Rafael Leao avrebbe dovuto solo buttare in rete, con un filtrante che ha attraversato tutta l’area con il quale ha pescato il campione portoghese, sul lato opposto. Lasciamo stare che la partita è finita comunque bene (e nel mondo più esaltante possibile) e che Leao ha riscattato l’errore con un gol e un assist (più altre giocate da fuoriclasse nel momento più difficile dei rossoneri).

Non lasciamo perdere, invece, il fatto che la buona partenza del Milan è stata anche merito di De Ketelaere che ha portato avanti palloni, ha creato occasioni, ha difeso, ha pressato e ha fatto anche un gran lavoro di copertura. E’ vero non ha ancora segnato (in realtà l’ha fatto ma gli è stato annullato) e non ha ancora lasciato negli occhi dei tifosi quella giocata che equivale alla consacrazione finale.

Ma oltre alla giovane età, ha dalla sua il fatto di giocare esattamente come vuole Stefano Pioli. Il gioco del Milan è molto offensivo e per funzionare tutti si devono sacrificare per l’obiettivo di funzionare come gruppo. Direi che dopo la partita contro l’Empoli, nessuno dovrebbe avere dubbi sul fatto che in questo Milan – forse con l’eccezione di Leao – lo spirito “unitario” conta nettamente di più della giocata del singolo. Prendete Rade Krunic: quasi mai titolare, ma ogni volte che serve si fa trovare pronto, disposto a giocare in più di un ruolo e anche decisivo come nel caso della torre al Ballo Touré.

Anche De Katelaere non può esimersi: deve correre, sacrificarsi, difendere e mantenere gli equilibri. In compenso non butta via un pallone, non fa mai giocate banali e ha movimenti che hanno solo i grandi giocatori, facendo sembrare semplici anche cose complicate. Ed è quello che gli chiede Pioli, tanto è vero che ha sempre parole molto “nette” di apprezzamento nei suoi confronti.

Per cui aspettiamo serenamente con pazienza. Perché il suo rendimento è già positivo e ha in Brahim Diaz un alter ego con cui si alterna proficuamente: il belga è un “cucitore” di gioco tra i reparti, come faceva Hakan Chalanoglu, ma di classe superiore, un giocatore di schacchi che sa avanzare in mezzo al campo con colpi che vede solo lui. Mentre lo spagnolo è perfetto come subentrante, quando gli avversari sono stanchi, le linee di difesa più aperte e il campo è come se diventasse più grande.

Pioli si è dimostrato bravo a gestire i giovani, non li brucia, li usa con grande concretezza quando arriva il momento. La partita contro l’Empoli è stata la grande rivincita di Fode Ballo Touré, forse il maggior bersaglio delle ironie dei tifosi: non solo per il gol ma anche per come ha giocato. In una parola: alla prima occasione che gli ha lasciato Theo Hernandez si è fatto trovare pronto. De Ketelaere è già pronto, gli manca solo il gol: ma anche Michel Platini al suo primo anno di Juventus ne segnò solo quattro, tra pubalgia e difficoltà di ambientamento.

Milan, ecco perché Pioli ha un grande problema: il centravanti

Chiariamoci subito: non stiano ovviamente parlando di Olivier Giroud. Il francese ha vinto tutto ma gioca sempre con l’umiltà di chi deve dimostrare ancora tutto. Contro la Sampdoria ha fatto l’ennesima partita mostruosa, utilissimo alla squadra e goleador nel momento che sapeva essere decisivo per portare a casa tre punti in una partita “brutta, sporca e cattiva“.

Il problema è che Stefano Pioli, al momento, per il ruolo di punta centrale può contare solo su di lui. Se Giroud fosse in grado rigiocare così tutte le partite e tutta la stagione potrebbe anche non essere un problema. Ma sappiano che non sarà così. Anche se non avesse 35 anni, l’ex Arsenal e Chelsea dovrebbe comunque rifiatare, magari partire qualche volta dalla panchina.

Invece, è proprio nel ruolo di centravanti che la strategia di Elliott di puntare sui giovani (o su giocatori esperti a parametro zero) mostra lacune. Ci sono quattro ruoli da cui non si può prescindere per costruire la dorsale di una squadra: portiere, centrale, centrocampista di qualità, centravanti.

Perso Donnarumma, è arrivato Mike Maignan che in Francia sapeva già essere l’erede di Lloris. In difesa prima Simon Kejar, ma poi è arrivato (spendendo dei bei soldi) Fikayo Tomori. A metà campo investimento importante per Sandro Tonali e poi per Charles de Ketelaere. Ma è per il ruolo di centravanti che il Milan non ha speso: tre parametri zero come Zlatan Ibrahimovic, Divock Origi e poi Giroud.

Tre campioni, ma non più giovanissimi: due fermi ai box e uno che deve fare reparto da solo, dentro e fuori dal campo. Ci sarebbe anche Ante Rebic (da Elliott ereditato), ma anche al croato marca spesso visita in infermeria. Infine, in rosa compare anche il nome di Marko Lazetic: sarebbe il giovane su cui puntare, ma ha giocato solo una manciata di minuti e se ne sono poi perse le tracce.

Ora vediamo come si comporterà Gerry Cardinale: quando c’è stata l’urgenza di sostituire Alessandro Florenzi, non ha esitato a dare il via libera all’ingaggio di Sergino Dest. Un “piccolo” salto rispetto a Elliott: è vero che è in prestito, ma ha anche l’ingaggio più alto della rosa del Milan (3,8 milioni, davanti a Theo Hernandez, 3,5).

Il centravanti di qualità, che faccia la differenza e che sia già pronto a giocare ad alto livello, anche se giovane, costa: di fatto, il Milan fino all’altra settimana da Elliott ha rivisto il problema. Puntando prima a coprire altri ruoli: per CDK sono comunque stati spesi 35 milioni.

MA non ci si faccia illusioni sul fatto che il Milan possa magari porre rimedio al mercato di gennaio, magari sfruttando la vetrina del Mondiale, dove qualche giovane potrebbe mettersi in evidenza. Perché Elliott e Cardinale hanno detto che la gestione del club va in continuità. Di conseguenza il trio Maldini-Massara-Moncada se ne occuperà la prossima stagione.

Intanto, Pioli si ritrova con il solo Giroud. Tra l’altro, questo significa che non può tentare schemi alternativi: contro la Sampdoria – ha ammesso – avrebbe giocato con le due punte: il francese con Origi, dando un po’ di riposo a Rafael Leao. Tra l’altro se lo avesse potuto fare probabilmente il portoghese non sarebbe stato espulso. E a Napoli ci sarebbe stato anche lui.

A Pioli pertanto conviene sperare in Asclepio, dio greco della medicina, che restituisca Ibrahimovic integro e che Origi e Rebic riescano a fare qualche partita.