Milan, la lunga decadenza: nel decennio ha perso 200 punti in classifica dalla Juve

A dimostrazione del fatto che i tifosi milanisti sono costretti a vivere di un passato glorioso e di un presente sempre meno prestigioso, si può leggere la classifica appena pubblicata da CalcioinPillole su Twitter. Prendendo in esame i punti realizzati in Serie A nell’ultimo decennio ( a partire dal primo gennaio 2000 fino all’ultima giornata prima della pausa) , il Milan si trova solo al quinto posto della graduatoria con 65 punti realizzati.

I rossoneri sono lontanissimi dal podio. Al primo posto c’è la Juventus con 852 punti:questo significa che il Milan, in media, viene distaccato di circa 20 punti ogni stagione dai bianconeri. Al secondo posto c’è il Napoli con 744 punti, seguito dalla Roma al terzo posto con 733 e l’Inter al quarto con 635.

Questo significa anche che il Milan ha realizzato circa 64-65 punti ogni anno. Ma essendo una media non sempre è così: negli ultimi sei anni, c’è riuscito solo negli ultimi due campionati sotto la guida di Gennaro Gattuso, mentre il punto più basso è stato toccato nel campionato 2014-15 con 52 punti totali. La media cui sta più o meno viaggiando il Milan di Pioli.

Questo per dire che se non fosse stato per il bottino dei primi tre anni della decade (con un primo, un secondo e un terzo posto in campionato), la media punti sarebbe ancora più bassa. E senza uno scatto nella seconda parte della stagione in corso, il rischio di vedersi superare anche dalla Lazio (sesta con 635 punti) sarebbe evitato solo per poco.

EDITORIALE Ecco i tre buoni motivi per cui il Milan sarà la sorpresa del campionato

Da quando siamo entrati nell’era social, lanciarsi in pronostici, o peggio ancora proclami, è diventato pericoloso. Non solo perché rimane traccia di tutto (avveniva anche prima, grazie alle Biblioteche e alla buona memoria di qualcuno), ma perché è un attimo rilanciare su internet in modo massiccio previsioni completamente sbagliate e ferne bersaglio del dileggio collettivo. Un esempio, per tutti da studiare nelle scuole di comunicazione: un ex direttore e prima firma tra i commentatori sportivi quando disse che la rosa della Juve era superiore a quella del Real e Ronaldo in bianconero avrebbe fatto la riserva a Dybala (per il momento Dybala fa la riserva di Higuain).

Nonostante la premessa, è un dovere morale per il Bollettino dire quello che pensa del Milan che fra poche ore si accinge a esordire in campionato a Udine. Ed è presto detto: il Bollettino è ottimista. L’inizio non sarà facile (lo ha fatto capire anche Zvone Boban in un paio di interviste) e ci vorrà pazienza, soprattutto se la partenza non sarà gravida di punti e vittorie. Ma ci sono almeno tre buoni motivi per cui il Milan potrà essere la sorpresa del campionato.

  1. Si riparte dal gioco e dai giovani. Il Milan è l’unica squadra di prima fascia che si ripresenta ai nastri di partenza puntando non sui nomi per attirare abbonamenti e solleticare i tifosi, ma da una idea di gioco e una strategia per crescere negli anni. In pratica, ha scelto la strada della ricostruzione dalla fondamenta, a cui nei prossimi anni si aggiungeranno i mattoni. E ha puntato su una idea di gioco che faccia appassionare e colpisca, col tempo, l’immaginario collettivo. Per questo ha scelto Giampaolo: un allenatore che ha una idea di gioco offensivo, basato su schemi che possono diventare un marchio di fabbrica ma allo stesso tempo adatto solo a giocatori di qualità. Per questo sono stati scelti solo giovani: il gruppo deve crescere tutto insieme, con gli interpreti che verranno sostituiti mano a mano che non si riveleranno all’altezza. L’unica squadra che ha fatto qualcosa di simile è l’Inter: scegliendo Conte ha puntato su allenatore che ha una di idea di gioco e gli ha preso giocatori adatti a quello schema. La differenza è che Conte è un “one man band” mentre Giampaolo cerca di mettere in primo piano il collettivo. Inoltre, l’Inter solo in parte ha puntato sui giovani e in parte sull’usato sicuro.
  2. Il quarto posto non è una priorità. Giampaolo avrà la fortuna di poter allenare senza avere pressioni. Infatti, non troverete una sola dichiarazione dei dirigenti in cui si chiede o si pone come obiettivo irrinunciabile (a differenza dei due anni precedenti) il quarto posto. Certo: l’accesso alla Champions consentirebbe un salto di qualità nei ricavi. Ma Elliott ha messo in conto che potrebbe non arrivare. Questo significa che la squadra potrà crescere senza avere l’ansia del risultato a tutti i costi. Mentre sarebbe più grave non vedere una crescita nel gioco e soprattutto on in gioco accattivante che appassioni i tifosi. Ma anche per questo bisognerà avere pazienza: ci vorrà tutto il mese di settembre per vedere i nuovi integrarsi, per non dire che nell’ultima settimana di mercato potrebbero arrivare Correa e – forse – anche un altro centrocampista.
  3. Senza le Coppe e con i pronostici contro. Il Milan ha anche altri due vantaggi.  Ha scelto di non disputare le Coppe per chiudere il contenzioso con l’Uefa sul Ffp. Il che permetterà a Giampaolo di concentrarsi solo sul campionato. Con notevole risparmio di energie fisiche e mentali. Inoltre, ha tutti i pronostici contro. Critici e commentatori, quando va bene lo mettono in lizza con Roma e Lazio per la conquista del quarto posto, per altri è già tanto se arriverà sesto. Una sottovalutazione che può trasformarsi in uno stimolo in più e che potrebbe portare altre squadre a sottovalutare il Milan.

Milan, prima il gruppo. Ecco perché a Udine Giampaolo non schiererà nessuno dei nuovi acquisti

Ai tifosi non può non ricordare Arrigo Sacchi, di cui del resto si dice ammiratore e, in parte, anche seguace. Ai milanista di lungo corso non sarà sfuggito che alcune idee forti dal punto di vista tattico ricordano il calcio praticato dalle squadre di Nils Liedholm. Perché Marco Giampaolo è, in effetti, un misto dei due grandi allenatori rossoneri, a cui aggiunge ovviamente di suo, non fosse altro perché il calcio (guardate soltanto le nuove regole) si è evoluto.

Anche come insegnante è una via di mezzo tra il lavoro ossessivo di Sacchi, ma il low profile di Liedholm. Si incazza solo quando è necessario, urla poco, cerca molto il dialogo e, soprattutto, spiega perché si devono fare certi movimenti e non altri.

I tifosi che non hanno avuto la fortuna di vedere una sua squadra dal vivo lo impareranno con tempo nel corso della stagione. Per il momento, anticipiamo solo alcuni concetti che – tra l’altro – si possono già intuire da quanto Giampaolo ha detto nella conferenza stampa della partita contro l’Udinese. I quali spiegano perché a Udine Giampaolo non schiererà nell’undici giocatori che son arrivati a Milanello solo quest’anno o che hanno iniziato la preparazione più tardi, anche se sulla carta sono i titolari del ruolo.

Il gruppo prima del giocatore. Giampaolo ha dato una lezione anche al Bollettino: dopo Cesena abbiamo scritto che avrebbero giocato Leao, Piatek e Paquetà, perché garantiscono più peso e qualità di Castillejo, Borini e Chalanoglu. Invece, se non ci fosse stato l’infortunio di Biglia, avrebbero giocato gli stessi dell’ultima amichevole. Perché per Giampaolo conta prima il gruppo e gli ultimi arrivati non hanno abbastanza allenamenti alla spalle per fare parte del gruppo. Perché far parte del gruppo, vuol dire sapersi muovere come un unico collettivo. Ha detto Giampaolo in conferenza: “Giocano quelli che stanno meglio sul piano fisico e delle conoscenze collettive. Magari staranno fuori giocatori forti ma di cui oggi non conosco ancora la condizione. Bennacer non stava male quando è arrivato, ha lavorato a casa, domani può fare uno spezzone di partite, ci sarà modo di inserire tutti gli altri. Abbiamo la necessità di portare tutti nel nostro progetto”.

In altre parole: anche se dovesse arrivare un giocatore di peso o (più improbabile) un campione negli ultimi giorni di calciomercato, prima di partire titolare deve emettere nelle gambe allenamenti e entrare in sintonia con gli schemi e con il gruppo.

Prima il gioco del risultato. Pur consapevole, come ha detto anche in conferenza stampa che a un certo punto “contano i risultati”, Giampaolo vuole convincere e conquistare i tifosi attraverso il gioco. Non sarà facile e ci vorrà pazienza per digerire qualche delusione. Ma Giampaolo è abbastanza all’opposto di Max Allegri o di Fabio Capello (per citare altri due allenatori rossoneri vincenti), per i quali “giocare bene” ha poco significato e conta solo fare punti. Giampaolo ha un’altra filosofia: “Ho una visione, ho l’idea di dove bisogna arrivare e attraverso quali step. Ho bisogno di tempo per lavorare coi calciatori, un modello di gioco che portiamo avanti senza passi indietro anche di fronte alle difficoltà”.

Palla a noi, meno gol subiti. Chi ha visto le amichevoli estive, ha notato rispetto al Milan di Gennaro Gattuso un maggiore possesso palla (lo ha fatto anche con lo United), ma soprattutto, un possesso figlio di una precisa convinzione. “Se la palla ce l’abbaio noi, non ce l’hanno gli avversari e quindi si corrono meno rischi”. Quello che faceva anche Liedholm, che predicava un calcio molto “melinato”, fatto di lunghi fraseggi. Ma erano altri tempi. Quello di Giampaolo comporta una linea difensiva più alta rispetto agli ultimi due anni e molta mobilità nel rombo di centrocampo e due terzini che appoggiano costantemente. Per quello è stato scelto un difensore velocissimo come Duarte, perché giocare alti comporta la possibilità di lasciare spazi profondi al contropiede avversario in caso di palla persa e quando non si può ricorrere immediatamente al fallo tattico.

La via del compromesso. Data la filosofia di base a cui Giampaolo non verrà mai meno, il Bollettino si aspetta già a Udine le prime correzioni. Che Bennacer possa giocare se Calhanoglu non dovesse dare garanzia di regia efficace tutta la partita l’abbiamo già detto e anche l’ingresso di Kessie e Leao (o Silva) nella ripresa per contrastare la fisicità dell’Udinese se non dovesse sbloccarsi il risultato. Perché Giampaolo lo sa: partire bene sarebbe fondamentale per una squadra che tutti definiscono una incognita e molti la vedono più debole dell’anno scorso.

Milan, ecco il “Giampaolismo”: prima il gruppo del campione, prima il gioco del risultato (e tenere la palla)

Ai tifosi milanisti non può non ricordare Arrigo Sacchi, di cui del resto si dice ammiratore e, in parte, anche seguace. A chi ha già una “certa”, non sarà sfuggito che alcune idee forti dal punto di vista tattico ricordano il calcio praticato dalle squadre di Nils Liedholm. Perché Marco Giampaolo è, in effetti, un misto dei due grandi allenatori rossoneri, a cui aggiunge ovviamente di suo, non fosse altro perché il calcio (guardate soltanto le nuove regole) si è evoluto.

Giampaolo è un allenatore che insegna calcio, come hanno fatto gli altri due. Lo è perché parte da una idea di gioco molto forte, molto precisa (i detrattori dicono che applica schemi in modo meccanico) e usa gli allenamenti perché i giocatori la assimilino il più possibile. Insegna calcio nel vero senso della parola, perché le lezioni che tiene a Coverciano, al corso allenatori, sono le più seguite. E’ un insegnante nel senso del pedagogo, perché i giocatori ne fanno un punto di riferimento e si affidano a lui perché capiscono che li può migliorare.

Anche come insegnante è una via di mezzo tra il lavoro ossessivo di Sacchi, ma il low profile di Liedholm. Si incazza solo quando è necessario, urla poco, cerca molto il dialogo e, soprattutto, spiega perché si devono fare certi movimenti e non altri.

I tifosi che non hanno avuto la fortuna di vedere una sua squadra dal vivo lo impareranno con tempo nel corso della stagione. Per il momento, anticipiamo solo alcuni concetti che – tra l’altro – si possono già intuire da quanto Giampaolo ha detto nella conferenza stampa della partita contro l’Udinese.

Il gruppo prima del giocatore. Giampaolo ha dato una lezione anche al Bollettino: dopo Cesena abbiamo scritto che avrebbero giocato Leao, Piatek e Paquetà, perché garantiscono più peso e qualità di Castillejo, Borini e Chalanoglu. Invece, se non ci fosse stato l’infortunio di Biglia, avrebbero giocato gli stessi dell’ultima amichevole. Perché per Giampaolo conta prima il gruppo e gli ultimi arrivati non hanno abbastanza allenamenti alla spalle per fare parte del gruppo. Perché far parte del gruppo, vuol dire sapersi muovere come un unico collettivo- Ha detto Giampaolo: “Giocano quelli che stanno meglio sul piano fisico e delle conoscenze collettive. Magari staranno fuori giocatori forti ma di cui oggi non conosco ancora la condizione. Bennacer non stava male quando è arrivato, ha lavorato a casa, domani può fare uno spezzone di partite, ci sarà modo di inserire tutti gli altri. Abbiamo la necessità di portare tutti nel nostro progetto”.

In altre parole: anche se dovesse arrivare un giocatore di peso o (più improbabile) un campione negli ultimi giorni di calciomercato, prima di partire titolare deve emettere nelle gambe allenamenti e entrare in sintonia con gli schemi e con il gruppo.

Prima il gioco del risultato. Pur consapevole, come ha detto anche in conferenza stampa che a un certo punto “contano i risultati”, Giampaolo vuole convincere e conquistare i tifosi attraverso il gioco. Non sarà facile e ci vorrà pazienza per digerire qualche delusione. Ma Giampaolo è abbastanza all’opposto di Max Allegri o di Fabio Capello (per citare altri due allenatori rossoneri vincenti), per i quali “giocare bene” ha poco significato e conta solo fare punti. Giampaolo ha un’altra filosofia: “Ho una visione, ho l’idea di dove bisogna arrivare e attraverso quali step. Ho bisogno di tempo per lavorare coi calciatori, un modello di gioco che portiamo avanti senza passi indietro anche di fronte alle difficoltà”.

Palla a noi, meno gol subiti. Chi ha visto le amichevoli estive, ha notato rispetto al Milan di Gennaro Gattuso un maggiore possesso palla (lo ha fatto anche con lo United), ma soprattutto, un possesso figlio di una precisa convinzione. “Se la palla ce l’abbaio noi, non ce l’hanno gli avversari e quindi si corrono meno rischi”. Quello che faceva anche Liedholm, che predicava un calcio molto “melinato”, fatto di lunghi fraseggi. Ma erano altri tempi. Quello di Giampaolo comporta una linea difensiva più alta rispetto agli ultimi due anni e molta mobilità nel rombo di centrocampo e due terzini che appoggiano costantemente. Per quello è stato scelto un difensore velocissimo come Duarte, perché giocare alti comporta la possibilità di lasciare spazi profondi al contropiede avversario in caso di palla persa e quando non si può ricorrere immediatamente al fallo tattico.

La via del compromesso. Data la filosofia di base a cui Giampaolo non verrà mai meno, il Bollettino si aspetta già a Udine le prime correzioni. Che Bennacer possa giocare se Calhanoglu non dovesse dare garanzia di regia efficace tutta la partita l’abbiamo già detto e anche l’ingresso di Kessie e Leao (o Silva) nella ripresa per contrastare la fisicità dell’Udinese se non dovesse sbloccarsi il risultato. Perché Giampaolo lo sa: partire bene sarebbe fondamentale per una squadra che tutti definiscono una incognita e molti la vedono più debole dell’anno scorso.

Arriva Paquetà, miglior giocatore brasiliano e primo giocatore “multiruolo” della Serie A

Milan-Torino non sarà solo una partita che potrebbe rafforzare i rossoneri in classifica, portandosi a solo un punto dall’Inter. Sarà anche la prima volta di Lucas Paquetà a San Siro. Il talento brasiliano arriva a Milano e sarà subito con i compagni. Domani in tribuna per assistere alla partita con i granata, il giorno dopo test clinici e sportivi e visita a Milanello. Poi ripartenza per una breve vacanza (si è appena sposato) e rientro il 3 gennaio assieme alla squadra: due settimane nelle quali potrebbe anche giocarsi una chance per uno spezzone di di Supercoppa contro la Juventus.

Grande, quindi, la curiosità (il Bollettino sarà in tribuna per strappare qualche immagine). Ma, soprattutto, grandissima la voglia di vederlo in campo per capire se Leonardo ha centrato il colpo e in quale ruolo giocherà. Che Paqueta’, 21 anni, sia un talento non dovrebbero esserci dubbi: anche con i suoi 10 gol ha trascinato il Flamengo al secondo posto del campionato appena concluso (vinto dal Palmeiras di Gustavo Gomez, per la cronaca). Ma soprattutto secondo il sito specializzato Whoscored è risultato il giocatore con il miglior rendimento di tutto il “brasilerao”. E anche il secondo per media di tiri effettuati nello specchio della porta, dietro a Everton del Gremio (anche lui al centro dell’interesse del Milan, secondo alcuni esperti di calciomercato).

Ma la curiosità più grande in assoluto sarà capire dove Gattuso collocherà il giovane brasiliano e se dovrà cambiare qualche schema per lui. In realtà, potrebbe essere esattamente il contrario: siamo di fronte al primo giocatore “multiruolo” della Serie A, che può adattarsi a qualunque richiesta del mister. In Brasile ha giocato da interno di centrocampo, da esterno, dietro le punte e persino da falso nueve. Sfidiamo a trovare una valida alternativa in tutto il campionato.

Qualcuno dirà: il modo in cui si gioca in Brasile è diverso da quello europeo. Questa vale sempre e potrebbe essere che Paquetà abbia bisogno di più tempo per capire il diverso contesto. Ma non è detto: ci sono giocatori brasiliani che si sono inserito in men che non si dica. Prendiamo per esempio Kaka, scoperto, guarda caso, anche lui da Leonardo. Non si vuole qui fare un paragone “sportivo”, ma sulla scelta del “neo” ds rossonero (ha preso il diploma giusto ieri) hanno avuto il loro peso testa e serietà del ragazzo.

Milan: una multa e verifiche al piano di aumenti dei ricavi. Le sanzioni Uefa non saranno una stangata

Ci siamo: forse già oggi, al massimo entro martedì prossimo ll’Uefa comunicherà al Milan la sua decisione per le violazioni al fai play finanziario da parte del club rossonero.

Da quello che è stato possibile ricostruire – e come confermano anche altre fonti giornalistiche – non sarà una stangata. A quanto risulta al Bollettino, ci sarà una multa e un rigoroso controllo nei prossimi anni dell’efficacia del piano industriale per l’aumento dei ricavi. In pratica, la prossima primavera si andrà a un accordo (il Milan vorrebbe un voluntary, più probabile un settlement agreement), dopodiché il Milan non potrà più sgarrare.

Secondo il Sole-24Ore il Milan si aspetta una multa tra 5 e 7 milioni. Secondo la Gazzetta dello Sport, potrebbe addirittura essere scontata se il Milan rispetterà gli impegni. In ogni caso, sembra proprio che i vertici del fondo Elliott abbiano convinto l’Uefa a non essere eccessivamente severi con il Milan, assicurando che verrà fatto di tutto per rispettare le regole: aumento delle spese solo in presenza di aumento del fatturato.

Del resto, la scelta di Ivan Gazidis (il cui stipendio è legato in parte proprio alla crescita dei ricavi) serve a questo. Così come va in questa direzione l’accordo che verrà preso entro fine anno per la gestione dello stadio per un lungo periodo di tempo (si parla di 99 anni), con una ampia ristrutturazione in joint venture con l’Inter.

L’unica incognita riguarda l mercato: l’Uefa concederà di iscrivere nella lista per l’Europa League gli acquisti del mercato di gennaio? Non dovrebbe cambiare i piani di leonardo e Mladini perché i nuovi arrivati serviranno non solo per costruire il Milan del futuro (vedi Paquetà), ma anche per non fallire l’ingresso nelle prime quattro posizioni. Ma sarà comunque un elemento in più di valutazione, oltre ad aumentare le chance di arrivare fino in fondo alla competizione. Ma basterà aspettare ancora poche ore per saperlo.

Milan, ecco perchè Gattuso ha scelto Mauri e Abate “centrali” contro il Parma

Gennaro Gattuso affronta la partita contro il Parma, vera rivelazione del campionato. con una doppia mossa inedita. Al centro della difesa schiera Ignazio Abate accanto a Christian Zapata, mentre regista davanti alla difesa sarà José Mauri e non Timoué Bakayoko, il quale passa a giocare a destra nel centrocampo a tre.

Per qualcuno è un azzardo mettere Abate centrale, in un ruolo che non è mai stato il suo. Così come è un errore togliere il francese da un ruolo in cui ha fatto bene nelle ultime partite.

Ma, ovviamente, le due mosse hanno una spiegazione. Gattuso, lo ha sottolineato nbene in conferenza stampa, teme la velocità del Parma in campo aperto. Con Gervinho che ha una tecnica superiore e Inglese bravissimo a fargli da sponda. Ma è in generale una squadra ben costruita e dotata di piedi buoni. Dovendo vincere, il Milan potrebbe esporsi al contropiede, così Gattuso mette al centro della difesa uno dei difensori più rapidi, Abate.

A centrocampo, invece, alza la diga: Mauri, oltre che essere nel suo ruolo, garantisce anche una buona fase di interdizione per impedire al Parma di costruire e ripartire, liberando così Bakayoko da compiti di costruzioni cosi’ da poter essere utilizzato nella fase di contrasto.

Ancora più della sfida contro la Lazio, la gara contro il Parma sarà una prova di maturità del gruppo: giocando in casa, davanti a 60mila persone, non potrà solo difendersi.

 

L’EDITORIALE Juve cannibale, ma la sua dittatura é al capolinea (grazie a Milan e Inter)

Non ci sarebbe nemmeno da discutere: se il Napoli non dovesse vincere a Bergamo (campo tra i piu’ complicati della Serie A), la Juve si porterebbe a 10 punti di vantaggio dalla seconda in classifica. Tutto cio’ soltanto dopo 14 giornate: in pratica, guadagnano quasi un punto a partita alle avversarie. I bianconeri sono una squadra cannibale, dittatori senza cuore ne’ anima. Assomigliano piu’ a dei robot programmati che a una squadra di calcio. Una dittatura che condanna il campionato italiano ad avere ben poco interesse se non per la lotta ai tre posti che rimangono per la Champions e per la retrocessione. Persino in Germania il predominio del Bayern sembra in pericolo, per non parlare della Spagna, dove si sta consumando la crisi per indigestione di Champions del Real Madrid.

La Juve, costruita per cancellare l’ossessione di una vittoria in Europa che manca da 20 anni (e per cancellare i 7 gol presi nelle ultime due finali), sembra cosi’ avviata a stroncare ogni opposizione nel campionato italiano gia’ a Natale, andando avanti di questo passo. L’ultimo ostacolo e’ rappresentato dall’Inter fra una settimana.

La Juventus e l’unica squadra in Italia costruita per il prossimo campionato europeo per club, la super lega che mandera’ in pensione il calcio come lo conosciamo: una proprieta’ miliardaria alle spalle, uno stadio di proprieta’, potere politico dove conta, una gestione attenta dei propri campioni, una mentalita’ vincente.

Ma tutto fa pensare che il movimento di liberazione dalla dittatura sia iniziato. Sembra un paradosso scriverlo nel giorno in cui la Juve vince per 3 a 0 la sua trasferta tradizionalmente piu’ ostica. Ma, basta riflettere a mente fredda per arrivarci.

A contrastarlo, ancora una volta, saranno Milan e Inter. I due club sono indirizzati sulla stessa strada: la proprieta’ finanziariamente importante, l’accordo per uno stadio che gestiranno insieme con un contratto di lunghissimo periodo che equivale a una proprieta’, peso politico ancora piu’ internazionale, grandi obiettivi che vogliono raggiungere nel piu’ breve tempo possibile.

Certo, nessuno mette in dubbio che la distanza sia ancora notevole. Milan e Inter, ancora piu’ del Napoli, sono due squadre in costruzione, dove la mancanza di vittorie negli ultimi anni, ha fatto venir meno la fiducia nei propri mezzi. E dove troppi giocatori sono stati spacciati per campioni per dare illusioni ai tifosi.

Ma Milan e Inter hanno dalla loro la Storia, le Coppe europee, una citta’ in grande crescita economica. Nonche’ un progetto che, sebbene in ritardo, e’ lo stesso della Juventus: farsi trovare pronti nel caso nasca veramente una lega europea sul modello dello sport professionistico americano. Con il prossimo campionato, la distanza sara’ ancora piu’ ridotta, Milan e Inter perderanno meno punti per strada e la Juve avra’ finalmente il cammino meno facilitato.

Per cui il cannibale si prepari al suo ultimo banchetto, le forze di opposizione sono alle porte.

Gattuso ha detto il vero: il procuratore di Ronaldo si era informato sul Milan. Ecco come è andata

Il Bollettino vuole intervenire sulla “querelle” che si sta aprendo, dopo le parole di Gennaro Gattuso in conferenza stampa, sulla possibilità che Cristiano Ronaldo potesse essere ingaggiato dal Milan. Per la precisione, Gattuso ha confermato quanto aveva anticipato in settimana l’ex ds Massimilano Mirabelli.

Allora, diciamolo subito: il procuratore di Cr7, il potentissimo Jorge Mendes (qui nella foto con il suo assistito) ha effettivamente sondato il Milan per capire se c’erano le possibilità per un trasferimento al Milan. Come si è poi capito, Ronaldo era in rotta con il Real e soprattutto ha pensato bene di sfruttare la legislazione fiscale favorevole agli stranieri a cui è concesso di pagare un forfait di 100mila euro per i redditi percepiti in Italia. Mendes aveva valutato anche la possibilità di un trasferimento in Cina, dove il contratto poteva essere anche più ricco.

Ma il calciatore voleva avere un ultimo palcoscenico europeo, prima di una “pensione” dorata. Il Milan poteva essere adatto: per quanto la squadra in declino negli ultimi anni è pur sempre il club con più tifosi al mondo e Milano è diventata ormai una delle metropoli più attrattive a livello globale. Soprattutto per chi come Cr7 è diventato una icona di immagine e, in un certo senso, di glamour.

Ma, anche se si ripaga in magliette e vittorie, Ronaldo ha un costo. Senza considerare che si gestisce da solo i rapporti con i suoi sponsor e i diritti di immagine. Ecco perché Mendes avrà capito subito che i cinesi non erano in grado di sostenere l’investimento e spiegato anche perché gli abboccamenti con il Napoli non sono andati a buon fine.

E’ stata così scelta la Juventus, in grado di sostenere le spese del trasferimento e soprattutto in cerca di un campionissimo in grado di farle recuperare tifosi al di fuori dell’Italia e di arrivare finalmente a vincere quella Champions che le sfugge da un ventennio. Se poi sarà un investimento favorevole lo si vedrà a fine stagione.

Ma nè Gattuso né Mirabelli si sono inventati nulla. E per chi volesse sapere qualcosa di più su Mendes, legga il blog del collega Pippo Russo, oppure si procuri il suo libro “M. l’orgia del potere”

Più gol per Cutrone, meno responsabilità per Higuain: tutti i vantaggi del ritorno di Ibrahimovic al Milan

Il Bollettino vuole subito ricordalo per onestà intellettuale: a suo tempo aveva scritto che vedeva più svantaggi che vantaggi nel ritorno di Zlatan Ibrahimovic al Milan. E che sarebbe stato più utile per la squadra riportare a Milanello Thiago Silva, visto che le difficoltà del Milan sono soprattutto in difesa e molto meno in attacco.

Ma Leonardo e Maldini hanno deciso diversamente. Ed essendo stati campioni, ma anche dirigenti ormai navigati (soprattutto il brasiliano) avranno sicuramente ragione loro. Oppure, hanno in mente altre operazione – delle quali al momento soltanto si intravedono i contorni – per rinforzare la squadra, sia a centrocampo che in difesa.

Per cui al Bollettino, che vuole essere un organo di informazione che cerca – come suo primo obiettivo – di spiegare il calcio e di farlo per gli appassionati del Milan, non resta che prendere per buono il fatto che abbiano ragione Leonardo e Maldini e trovare i motivi che li hanno spinto a prendere questa decisione.

Per usare meno giri di parole: perché sono convinti che ingaggiare Ibrahimovic sia una cosa buona e giusta. Nonché utile per la squadra e fondamentale per raggiungere il quarto posto. Ne abbiamo individuati due di carattere generale e due legati ai suoi compagni di attacco.

  1. Forza fisica. Il Milan ha un deficit di “stazza” nei confronti delle squadre più accreditate. Gattuso lo ha detto chiaramente sia commentando la sfida nel derby, sia quella con la Juventus: gli avversari sembravano mediamente grandi il doppio. Ibra non ha certo questo problema, solitamente è lui che incute timori ai difensori, anche quando sono ben piazzati. Nonostante l’infortunio del’anno scorso, nel campionato Usa ha dimostrato di essere tornato in forma, con il solito campionario di gol in acrobazia.
  2. Esperienza. Non è di certo una battuta per i suoi 37 anni. Lo svedese sa come si vince, sa quando colpire, sa come scuotere i compagni. il suo apporto sarà fondamentale soprattutto contro le squadre che tendono a chiudersi a doppia mandata: le partite risolte dal Milan nei minuti finali costringono i rossoneri a sprecare energie importanti. Ibra ha sempre dimostrato che i suoi gol sono fondamentali per vincere i campionati perché segna con continuità e risolve anche le partite più ostiche.
  3. Più gol per Cutrone. Sulla carta il giovane bomber sarà il sacrificato per la panchina: Ibra non viene di certo per fare la riserva. Ma se si pone nell’atteggiamento giusto potrà imparare molto, visto che è a sua volta un giocatore che si basa molto sulla forza e a cui piace fare a sportellate. Inoltre, potrebbe segnare qualche gol in più giocando a fianco delle svedese: per marcare Ibra spesso i difensori centrali devono aiutarsi e un attaccante rapido come Cutrone può approfittare molto degli spazi che è capace di creare Ibrahimovic. Per non parlare del fatto che Ibra è in grado di mandare in gol chiunque (ricordarsi dell’anno d’oro di Nocerino).
  4. Higuain, meno responsabilità. Oramai lo si è capito: Gonzalo Higuain è troppo sensibile. L’emotività gli combina brutti scherzo, come sbagliare un gol davanti alla porta in una finale mondiale o farsi parare il rigore della “vendetta” contro la Juventus. In questi primi mesi di Milan, può aver sentito il peso di troppe responsabilità, essendo l’unico campione in forza ai rossoneri, a cui erano chiesti oltre i gol anche di rientrare a centrocampo per dare una mano alla creazione del gioco. Con Ibrahimovic queste responsabilità verranno condivise. Oltre ad avere in compagno di pari qualità e personalità. In pratica, avrà meno motivi per innervosirsi e un aiuto maggiore per giocare a calcio.